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Oltre il panico: affrontare le proprie paure ed essere consapevoli della propria strada.

2 Dicembre 2015

G. arriva abbacchiato, con le spalle ricurve, si vede che si vergogna tremendamente di essere in questa situazione, “è assurdo ch’io sia qui….se penso a me un anno fa….ho paura di essere diventato matto. Si, forse lo sono proprio….”
Gli attacchi di panico ne hanno minato profondamente la sicurezza tanto che oramai la sua vita è ridotta all’interno dei confini di casa ed alla certezza di essere sempre accompagnato da qualcuno.
Alla psicoterapeuta chiede, come la maggior parte dei pazienti, di “tornare come era prima”; eppure G. non ci mette molto a rendersi conto che probabilmente è proprio nelle condizioni di vita di “prima” che sta gran parte del problema.
Gli attacchi di panico, che intanto sono sospesi, vanno presto in secondo piano: G. prende lentamente coscienza di aver fatto i conti per quasi tutta la vita con un elevatissimo tasso di ansia ,al limite dell’invalidante.
A causa del “suo problema”, come lo ha sempre definito lui,  ha vissuto una vita piacevole ma entro certi limiti e confini ben definiti: “ho vissuto e vivo dentro ad una cerchio, un recinto”.
Il “recinto” prevede, ad esempio, che G. non possa prendere determinati mezzi di trasporto o che non possa rischiare di stare fermo nel traffico, per paura di un attacco d’ansia improvviso, ma anche che non possa fare un viaggio minimamente lungo o avere un lavoro che richieda libertà di movimento o una ragazza che non abiti nel raggio di pochi chilometri.
Decisamente non deve essere stata una vita e soprattutto un’adolescenza facile per un bel ragazzo pieno di energia e di amici: far finta di niente quando gli altri andavano a Ibiza l’estate, accontentarsi di una lavoro mediocre, evitare quelle ragazze che, anche se gli piacevano, potevano risultare problematiche.
G., però, non si è mai lamentato, ha vissuto la sua vita cercando di essere il più felice possibile compatibilmente con il “recinto”, che nel tempo è diventato parte della vita stessa: semplicemente alcune cose “non erano da lui” e non potevano neanche essere desiderate perché la consapevolezza delle limitazioni e dei compromessi subiti avrebbe causato troppo dolore.
Fino a quando, improvvisamente, qualcosa cambia: alla soglia dei 25 anni, che G. associa all’ingresso nel mondo degli adulti, un giorno al lavoro, davanti al computer, la vista si offusca, il cuore sembra scoppiare, tutto inizia a girare e G. quasi smette di respirare: l’attacco di panico viene a scuotere la sua vita, restringendo e delimitando ulteriormente il “recinto”, ora così stretto che G. non può più tollerarlo o far finta di non vederlo.
La consapevolezza di anni di sofferenza, fino ad ora “rimossi”, inevitabilmente causa molta sofferenza: G. affronta, infatti, un periodo di depressione, dovuta anche al fatto che gli attacchi di panico hanno notevolmente limitato la sua vita.
Per chi soffre di attacchi di panico, come G., toccare la depressione rappresenta una possibilità di evoluzione e, quindi, guarigione, se opportunamente seguito e supportato all’interno di un rapporto terapeutico. Attraverso la sofferenza, G. ha il coraggio di guardarsi per quello che è, nel bene e nel male, atteggiamento indispensabile per avere cura di sé e quindi anche del “suo problema”.
In questo clima di raccoglimento in sé G. affronta il legame con la famiglia, carico di amore ma povero di scambio, di parole, di riconoscimento. Si rende conto di aver vissuto come “un diverso”, una persona difficile da capire, e di aver quindi rinunciato prestissimo a cercare dialogo e comprensione all’interno della famiglia. A casa, come fuori, è solo, anche in mezzo alla sua numerosa famiglia o ai tanti amici.
G. esce dalla depressione attraverso la rabbia, contro chi non l’ha mai capito, chi l’ha racchiuso in una definizione stereotipata (“quello che non ha voglia di studiare e di impegnarsi, lo scansafatiche, la pecora nera”) invece di accogliere la sua diversità, la sua unicità.
La rabbia è la molla che catalizza la sua energia: G. inizia ad uscire, a fare delle attività che considera importanti per lui, come andare in palestra, suonare la chitarra, vedere amici….
Nel frattempo gli attacchi di panico si fanno sentire solo attraverso l’ansia anticipatoria (G. ha più che altro paura di avere un attacco di panico) fino a scomparire del tutto.
Riprende gradualmente la sua vita, ma ad un livello di consapevolezza decisamente diverso: la sofferenza provata in passato ha per lui un senso profondo, vale a dire la possibilità di iniziare finalmente a vivere una vita libera ed appagante, quella che ora si permette di meritarsi.
 

MIndfuLab

18 Novembre 2015

Gli incontri si svolgeranno presso la sede dell’ Associazione MenteCorpo in via Rossetti 19 angolo via Ippolito Nievo a Milano, dalle 19 alle 21 . Ecco qui il programma della stagione 2015-2016.

10 Novembre 2015: Inside Out – consapevolezza emotiva. Impariamo a diventare consapevoli delle nostre emozioni interpretandole.

17 Dicembre 2015: Body scan – consapevolezza corporea. Per lasciare andare la nostra abitudine a stare troppo tra le nuvole, e tra i pensieri.

19 Gennaio 2016: Breathe – ancorati a noi stessi. Per diventare consapevoli non solo dei momenti che ci tolgono il fiato.

16 Febbraio 2016: La montagna – radicati in noi. Sole, pioggia, neve o vento.. trasformiamoci in una montagna e osserviamo il paesaggio.

15 Marzo 2016: La pratica di metta – gentilezza amorevole. Perchè essere gentili con sè stessi è un’attitudine da sviluppare per essere felici.

19 Aprile 2016:  Cullare il cuore – mi prendo cura di me. Anche il cuore come il respiro ha ritmi di chiusura ed apertura. 

14 Giugno 2016: Mindful yoga – movimenti in consapevolezza. Yoga significa ‘unire’. Mente e corpo: un’esperienza della loro essenziale unità.

 

Non è più bello sapere che puoi essere felice anche quando sbagli? Dicci la tua

20 novembre 2014

Quando siamo impegnati in un'attività sportiva inevitabilmente facciamo i conti con i risultati, la pressione e la paura di sbagliare.
come si può superare questo timore? Ho provato a chiederlo nei miei colloqui a diversi miei utenti sportivi. Trovo che soprattutto lavorando coi giovani far emergere queste emozioni
sia particolarmente educativo e utile.  Non solo come sportivi, ma anche come persone ci sentiamo molto tristi e frustrati quando sentiamo di non riuscire ad esprimere il proprio potenziale. Abbiamo paura di non riuscirlo ad esprimere e, come talvolta ho visto nella mia esperienza, ci "congeliamo". La reazione di "congelamento" avviene quando la paura diventa così forte che ci sentiamo bloccati, ingabbiati e non riusciamo a smuovere la nostra energia più profonda. E' proprio allora che dobbiamo tirare fuori l'altra nostra energia: la rabbia. La rabbia/aggressività non è solo distruttiva. Con rabbia/aggressività esprimiamo la nostra ambizione, i nostri desideri, la nostra voglia di andare verso ciò che ci fa stare bene. Grazie all'energia della nostra aggressività i nostri obiettivi diventano perseguibili, si avvicinano e e questo ci rende più competetenti, più capaci di controllare le nostre performance, più capaci di essere attivi protagonisti di ciò che facciamo. Diventiamo presenti in quel momento, ci siamo e tutte le nostre energie si focalizzano come un laser in quell'unica direzione. L'errore passato e il timore futuro lasciano spazio al "qui ed ora".

Parent coaching: le diverse fasi di una carriera sportiva.

31 Ottobre 2014

Diverse contributi di ricerca nelle ultime due decadi si sono occupate della carriera sportiva degli atleti con una nuova prospettiva: mentre prima l’interesse era focalizzato esclusivamente sul fine carriera, ora l’attenzione viene posta a tutto il processo di crescita e di maturazione dell’atleta. La prospettiva Life Span prende in esame un atleta dal momento in cui si avvicina all’attività sportiva soprattutto grazie alle figure genitoriali fino alla sua maturazione.

Secondo questi studi una carriera sportiva è vista in termini di stadi successivi e lo sviluppo di un atleta è visto come un progressivo adattamento alle sfide e obiettivi tipici di ogni fase. Questi studi si basano su un elevato campione di atleti di alto livello agonistico, dove per alto livello si intende la partecipazione a competizioni internazionali nel proprio sport.

1. fase di avvicinamento. In questa fase, che va dai 4 ai 12 anni, i bambini vengono introdotti alla pratica sportiva. A questa prima, delicata fase di introduzione allo sport partecipano soprattutto i genitori. Le sfide e obiettivi di questa prima fase sono il divertimento, la conoscenza di sé attraverso il proprio corpo, il rispetto degli altri e, intorno agli 8 anni, l’importanza di rispettare le regole. In un caso su due è il genitore che per primo si accorge dell’inclinazione o del talento del proprio figlio; in altri paesi, soprattutto anglosassoni, i genitori sono i primi insegnanti dei propri figli. La figura genitoriale è in questa fase centrale per un solido attaccamento all’attività sportiva in generale, dal momento che riescono a dare supporto emotivo e partecipazione alla vita sportiva del proprio figlio.

2. fase di sviluppo. In questa seconda fase, che va dai 13 ai 20 anni, i giovani iniziano a competere, ad allenarsi con più impegno e ad affrontare una specializzazione crescente nello sport praticato. Le figure genitoriali si alternano con la figura dell’allenatore, che rappresenta un importante punto di riferimento per il giovane o per la squadra di giovani. L’avvicinamento alle competizioni deve sempre privilegiare l’aspetto del divertimento e del piacere di praticare uno sport. Vittorie e sconfitte sono un’occasione per crescere con l’obbligo da parte di genitori e allenatori di ridurre le pressioni al risultato. 

23 Ottobre 2014

Ognuno di noi è nel profondo o una persona che chiede ed insegue la dimostrazione dell’affetto oppure una persona che, pur desiderando tantissimo essere amata, tende a dimostrarsi massimamente indipendente ed ha bisogno di non sentire il bisogno totale di un’altra persona.

Questi due modi di essere provengono dalle relazioni d’amore primarie (quelle con i genitori) e sono abbastanza stabili. La teoria dell’attaccamento ha indagato, anche scientificamente, questi aspetti aiutandoci a capire meglio le relazioni (Una base sicura, Bowlby).

La relazione di coppia è il luogo dove queste caratteristiche si esprimono: il bisogno di amore e di connessione profonda con una persona è sempre alla base di ogni relazione di coppia ed è sempre alla base di ogni crisi di coppia.

Anche quando apparentemente la problematica è diversa, anche quando le discussioni non sfiorano mai il profondo ma soltando il quotidiano, sempre la domanda sottostante, della quale i partner possono essere più o meno consapevoli, è: “ma tu, mi ami? Tu, ci sei e ci sarai per me? Tu, mi accetti così come sono? Mi vuoi veramente?”.

Con le parole degli indiani di america: “Tu: mi vedi?”.

18 Marzo 2014

Psicologicamente la capacità di amare qualcuno dipende fortemente da quanto e come si è stati amati.All’inizio del secolo Harlow* fece un esperimento determinante per comprendere la natura dell’uomo ed il suo naturale bisogno d’amore: egli dimostrò che nei piccoli di scimpanzè la privazione di coccole materne aveva lo stesso identico effetto della privazione di cibo. Questo significava che i piccoli scimpanzè, rispetto ai quali noi ci riteniamo un pochino più sofisticati, avevano esattamente tanta “fame” di coccole e baci quanto di cibo e che avrebbero potuto morire sia perché non nutriti sia perché non amati.Questa ricerca è stata importantissima perché ha fatto definitivamente capire che l’animale uomo ha bisogno di essere amato per respirare; infatti i bambini, proprio come i baby-scimpanzè, ricercano continuamente l’amore dei genitori attraverso l’unico mezzo che conoscono, il contatto fisico.Nella continua relazione con i genitori essi imparano poi cosa significa amare ed essere amati: questo modello li seguirà per tutta la loro vita.Se il rapporto che avevano con i loro genitori era positivo, con manifestazioni di affetto, interesse e approvazione, da adulti tenderanno a sentirsi amati dalle persone che generano in loro gli stessi sentimenti di sicurezza, calore e stima. Tenderanno anche ad evitare le persone che li mettono a disagio o li feriscono.Add News Story here

18 Marzo 2014

10, 15 ore al giorno, è questo la quantità di ore che molte persone passano davanti ad un video. 8 sono di lavoro, sempre più informatizzato, poi la pausa pranzo, leggendo il giornale on-line o scrivendo su facebook, al rientro a casa, dopo circa un’ora di traffico cittadino, ecco che si accende il pc per stare in contatto con le molteplici frequentazioni virtuali.Le abitudini sono velocemente cambiate e la tecnologia, così comoda e divertente, è giustamente entrata a far parte dei nostri stili di vita quotidiani; il problema è che il nostro cervello e il nostro corpo in generale non è poi così cambiato negli ultimi duemila anni (almeno). Anche se probabilmente ne sfruttiamo maggiormente le potenzialità (a dire il vero ancora sconosciute a pieno) il nostro cervello ancora non sembra in grado di reggere un’esposizione troppo elavata a stimoli continui, veloci e frammentari senza subire pesanti conseguenze. Per non parlare del nostro corpo che ancora, nonostante le molte comodità, si ammala di sedentarietà quando ci dimentichiamo che biologicamente siamo fatti per correre, saltare, camminare, nuotare.E’ in questo contesto che possiamo leggere i cosiddetti nuovi disturbi d’ansia: un cervello bombardato di informazioni (spesso prive di senso all’interno del contesto quotidiano oppure aggressive o angoscianti) e un corpo esautorato della sua propria funzione di scarica dell’energia in eccesso, delle pulsioni profonde e vicine agli istinti come la sessualità, la rabbia o la gioia profonda. Il corpo prova a mandare segnali con i suoi propri mezzi, emicrania, colite, dolore al petto…ma il cervello non risponde perché non sente, costantemente anestetizzato dal computer acceso con le sue immagini ipnotiche.Add News Story here

20 Novembre, 2013

Sono sempre di più i giovani che fin dai primi anni d’età praticano uno sport a un buon livello e che molto presto si trovano a dover fare i conti con le emozioni e le sfide che l’attività sportiva inevitabilmente pone. Bambini e ragazzi che praticano sport a livello agonistico spesso affrontano emozioni di difficile gestione e circostanze che, difficilmente chi non pratica sport fin dai primi anni di età può capire e conoscere. Se, da una parte questo aspetto rappresenta un incontro “prematuro” con situazioni  difficili, dall’altro può diventare un potente fattore di spinta e una preziosa opportunità di sviluppo.

 

2 Dicembre, 2013

Un interessante libro ci fa riflettere sull'importanza della comunicazione in coppia. Chi è in coppia da lungo tempo sa bene quanto nella vita quotidiana si dia pochissima importanza al modo di comunicare con il proprio partner, mentre si fa magari molta atenzione ad ogni singola parola espressa al nuovo interessante collega o capo. Ciò certo è giusto e normale, la nostra coppia è proprio il luogo unico e speciale nel quale possiamo essere noi stessi fino in fondo e non controllarci troppo...vero, ma la coppia è pur sempre una relazione, alquanto complessa e impegnativa e dalla riuscita della quale dipende una grossa fetta della nostra felicità: forse è il caso allora di darci l'obiettivo di essere sia naturali sia i più bravi comunicatori nei confronti del nostro partner.

 

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