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Psicoterapia.

 

Dipendenza affettiva.

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Parlare di dipendenza non è semplice. E’ un argomento vastissimo e spesso fa riferimento al concetto di sostanza stupefacente. In realtà in terapia la dipendenza più comune è quella relazionale, vale a dire dagli altri o da un altro significativo senza il quale sembra mancarci l’ossigeno. Certo avviene anche il caso di abuso di sostanze nocive come le droghe o l’alcool oppure di “sostanze” apparentemente più innocue come il cibo, lo shopping, il telefono, la chat o il sesso…In questi casi la dipendenza ha trovato una soddisfazione alternativa, fittizia ma reale nella sua capacità di riempire il bisogno impellente che si sente nel corpo.La terapia deve allora necessariamente partire da una paziente rieducazione del corpo stesso, una sorta di disintossicazione, focalizzandosi sia sulla consapevolezza del bisogno e delle sue ragioni profonde che sugli aspetti pratici della vita. Eppure la dipendenza è una cosa stupenda, pensare, come R., che “lontano o vicino, da qualche parte, c’è una persona che farebbe qualsiasi cosa per me, qualcuno o qualcosa che esaudirebbe i miei bisogni, un po’ come nelle fiabe, e che farebbe sì che io fossi in grado di ottenere ciò che voglio senza bisogno di alcuno sforzo da parte mia”. Vivere con il sottofondo di questa fantasia dorata è bellissimo ed anche in un certo senso normale. Dentro di noi alberga il ricordo di questi momenti meravigliosi di unione assoluta e proprio grazie a questa certezza di base di essere amati ed accuditi in tutto e per tutto noi possiamo permetterci di affrontare la vita come esseri separati ed indipendenti.Quando invece non riusciamo nemmeno a pensarci come “separati” (“vivo meglio in compagnia ma sopravvivo anche da solo e ciò mi da un senso di orgoglio”) allora ci manca la nostra “base sicura”, è un po’ come aver costruito la nostra casa con delle fondamenta poco stabili, talmente poco che spesso la o le persone dalle quali siamo dipendenti è come se se facessero parte dei pali che tengono su le nostre fondamenta: via loro, via le fondamenta….Ovviamente non possiamo certo permetterci di far a meno dei pali portanti della nostra esistenza, non possiamo quindi pensare di allontanare qualcosa o qualcuno che è così fondamentale per noi…crolleremmo su noi stessi con un enorme carico di angoscia. Inutile allora obbligarsi a resistere, a fare da soli. In questi casi la terapia serve innanzitutto ad individuare che si tratta di un problema di fondamenta, del quale siamo responsabili solo relativamente (consapevolezza), sgomberando il campo dai sensi di colpa e di disistima. In secondo luogo l’obiettivo terapeutico è ricostruire i pali mancanti che sono stati rimpiazzati oppure rendere più resistenti quelli già esistenti in modo da essere autonomi e questo lavoro può anche essere lungo. Durante i lavori non possiamo certo rischiare di crollare, occorrono dei paletti provvisori che costituiscano una nuova dipendenza ma meno patologica. Sicuramente la terapia è uno di questi, ma assolutamente sterile se rimane l’unico, i più importanti si trovano nella vita di tutti i giorni: gli interessi veri, un amico che ci capisce, una piccola soddisfazione sul lavoro, un nuovo corso, la natura, un’allegra serata in gruppo…Vorrei puntualizzare un aspetto che ritengo importante il risultato, la guarigione dalla dipendenza affettiva non è in nessun modo il distacco dalla persona o dalle persone da cui eravamo dipendenti…anzi. Il risultato è semmai l’autonomia affettiva, “io solo faccio parte delle mie fondamenta”, che è esattamente il contrario perché è ciò che ci permette di entrare consapevolmente e realmente in relazione con gli altri, perché vogliamo, perché li scegliamo, non perché abbiamo bisogno di una stampella. Ciò fa sentire gli altri veramente amati ed accettati e non può che portare ad un miglioramento della qualità delle relazioni, quasi sempre le stesse che inizialmente erano invece problematiche.

 

 

A cura della dottoressa Silvia Sarti.

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