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L’ansia e la paura sono meccanismi di difesa assolutamente naturali: guai a non avere paura, ne andrebbe della nostra stessa sopravvivenza, il mondo ci apparirebbe come uno scenario privo di pericoli che in poco tempo ci annienterebbero. L’ansia è quindi una normale funzione dell’Io (della nostra personalità consapevole) che porta all’attivazione delle risorse fisiche e mentali di fronte a situazioni difficili o pericolose, per ottimizzare al massimo le nostre prestazioni. Fino a qui tutto positivo. Il problema è la soglia, vale a dire quel limite oltre il quale ansia e paura da alleate diventano padrone della nostra vita imbrigliandoci in un crescendo di dolore e immobilismo.Secondo le classificazioni dei disturbi mentali più diffuse in ambito scientifico i disturbi d’ansia più comuni sono: lo stato d’ansia generalizzata, le fobie, il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo post-traumatico da stress e il disturbo da attacco di panico.Per ciascuno di questi disturbi si tratta di comprendere il grado di compromissione (gravità) e soprattutto la qualità della vita della persona sofferente.Anche se in realtà nello specifico parecchio diverse, tutte le problematiche sopra citate hanno per comune denominatore l’ansia, vale a dire quello stato specifico di allerta che nel corpo si traduce con una sovreccitazione di alcune funzioni fisiologiche che normalmente noi non possiamo controllare direttamente (la salivazione, la sudorazione, il battito cardiaco, la respirazione, la digestione). Il corpo è sotto stress, cioè ha imparato a stare sempre pronto perché da un momento all’altro può arrivare il pericolo. Inutile dire che più si cerca di controllare questo stato (fisiologicamente incontrollabile, non per mancanza di forza di volontà ma per natura) più lo stress aumenta, mentre l’autostima diminuisce. A parte il caso del disturbo post-traumatico da stress dove un trauma ben identificabile ha letteralmente sconvolto l’assetto psichico dell’individuo, nei diversi disturbi d’ansia le persone non ricordano eventi particolarmente stressanti ma più che altro parlano di un’atmosfera di allerta continua nella quale sono vissuti, spesso praticamente da sempre. Naturalmente tutti noi viviamo in un mondo in cui lo stato d’allerta è più che mai giustificato, ma il fatto che alcuni individui più di altri non riescano a dare un limite accettabile alla loro paura ha fatto pensare e poi dimostrare la presenza di una sorta di sensibilizzazione di queste persone, come se la loro soglia al pericolo fosse sensibilmente più bassa. Molto probabilmente ciò si apprende per imitazione durante lo sviluppo ed infatti spesso chi è ansioso riconosce di aver vissuto in un ambiente in cui c’erano una o più persone molto ansiose. Da qui l’importanza per un genitore che soffre di disturbi d’ansia di un confronto sereno con questa sua parte, non per demonizzarla ma per comprenderla e renderla più accettabile, per sé e per i suoi figli.L’ansia ha il suo culmine nel disturbo da attacco di panico, enormemente diffuso, spesso anche tra insospettabili. Esternamente vediamo persone iniziare a rinunciare a qualcosa, un viaggio, un’uscita, il cinema, la metropolitana, apparentemente per scelta o per opportunità. Poi le rinunce diventano sempre più restrittive ed il cerchio si stringe, sempre più nei pressi delle quattro mura di casa. Questo spesso è un bene perché in un certo senso costringe l’interessato o chi tiene a lui/lei a prendere provvedimenti e chiedere aiuto ( la figura professionale competente è lo psicoterapeuta, di qualsiasi indirizzo, l’importante è che sia uno psicoterapeuta iscritto all’albo), mentre purtroppo moltissime persone, più di quante noi pensiamo, accettano le limitazioni senza mai affrontarne la cura; ciò è comunque dignitoso ma bisogna tenere presente che in questi casi l’autostima cola a picco con conseguenze tangibili sulla qualità della vita.Chi soffre di attacco di panico è come un vulcano al quale sono stati messi dei grossi tappi su tutte le bocche di fuoriuscita della lava; per un po’ tiene poi…scoppia. Forse se non ci fossero stati i tappi la lava sarebbe potuta uscire mano a mano nel tempo e non ci sarebbe stato bisogno dell’esplosione…La terapia dei disturbi d’ansia non è mai esclusivamente verbale, perché chi ne soffre sa normalmente già tutto del suo sintomo e tende a rimuginare continuamente sul problema: bisogna soprattutto insegnare al corpo a calmarsi, ad avere meno paura e a non controllare ogni cosa ma anche rieducare la persona a fare delle esperienze sino a quel momento considerate tabù. Oltre al colloquio clinico “normale” a questo proposito sono molto utili il rilassamento e la terapia a mediazione corporea ed il classico training cognitivo-comportamentale.

 

A cura della dottoressa Silvia Sarti.

 

 

 

Psicoterapia.

Stati d'ansia, paura e attacchi di panico.

 

 

 

 

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Oltre il panico: affrontare le proprie paure ed essere consapevoli della propria strada.

G. arriva abbacchiato, con le spalle ricurve, si vede che si vergogna tremendamente di essere in questa situazione, “è assurdo ch’io sia qui….se penso a me un anno fa….ho paura di essere diventato matto. Si, forse lo sono proprio….”
Gli attacchi di panico ne hanno minato profondamente la sicurezza tanto che oramai la sua vita è ridotta all’interno dei confini di casa ed alla certezza di essere sempre accompagnato da qualcuno.
Alla psicoterapeuta chiede, come la maggior parte dei pazienti, di “tornare come era prima”; eppure G. non ci mette molto a rendersi conto che probabilmente è proprio nelle condizioni di vita di “prima” che sta gran parte del problema.
Gli attacchi di panico, che intanto sono sospesi, vanno presto in secondo piano: G. prende lentamente coscienza di aver fatto i conti per quasi tutta la vita con un elevatissimo tasso di ansia ,al limite dell’invalidante.
A causa del “suo problema”, come lo ha sempre definito lui,  ha vissuto una vita piacevole ma entro certi limiti e confini ben definiti: “ho vissuto e vivo dentro ad una cerchio, un recinto”.
Il “recinto” prevede, ad esempio, che G. non possa prendere determinati mezzi di trasporto o che non possa rischiare di stare fermo nel traffico, per paura di un attacco d’ansia improvviso, ma anche che non possa fare un viaggio minimamente lungo o avere un lavoro che richieda libertà di movimento o una ragazza che non abiti nel raggio di pochi chilometri.
Decisamente non deve essere stata una vita e soprattutto un’adolescenza facile per un bel ragazzo pieno di energia e di amici: far finta di niente quando gli altri andavano a Ibiza l’estate, accontentarsi di una lavoro mediocre, evitare quelle ragazze che, anche se gli piacevano, potevano risultare problematiche.
G., però, non si è mai lamentato, ha vissuto la sua vita cercando di essere il più felice possibile compatibilmente con il “recinto”, che nel tempo è diventato parte della vita stessa: semplicemente alcune cose “non erano da lui” e non potevano neanche essere desiderate perché la consapevolezza delle limitazioni e dei compromessi subiti avrebbe causato troppo dolore.
Fino a quando, improvvisamente, qualcosa cambia: alla soglia dei 25 anni, che G. associa all’ingresso nel mondo degli adulti, un giorno al lavoro, davanti al computer, la vista si offusca, il cuore sembra scoppiare, tutto inizia a girare e G. quasi smette di respirare: l’attacco di panico viene a scuotere la sua vita, restringendo e delimitando ulteriormente il “recinto”, ora così stretto che G. non può più tollerarlo o far finta di non vederlo.
La consapevolezza di anni di sofferenza, fino ad ora “rimossi”, inevitabilmente causa molta sofferenza: G. affronta, infatti, un periodo di depressione, dovuta anche al fatto che gli attacchi di panico hanno notevolmente limitato la sua vita.
Per chi soffre di attacchi di panico, come G., toccare la depressione rappresenta una possibilità di evoluzione e, quindi, guarigione, se opportunamente seguito e supportato all’interno di un rapporto terapeutico. Attraverso la sofferenza, G. ha il coraggio di guardarsi per quello che è, nel bene e nel male, atteggiamento indispensabile per avere cura di sé e quindi anche del “suo problema”.
In questo clima di raccoglimento in sé G. affronta il legame con la famiglia, carico di amore ma povero di scambio, di parole, di riconoscimento. Si rende conto di aver vissuto come “un diverso”, una persona difficile da capire, e di aver quindi rinunciato prestissimo a cercare dialogo e comprensione all’interno della famiglia. A casa, come fuori, è solo, anche in mezzo alla sua numerosa famiglia o ai tanti amici.
G. esce dalla depressione attraverso la rabbia, contro chi non l’ha mai capito, chi l’ha racchiuso in una definizione stereotipata (“quello che non ha voglia di studiare e di impegnarsi, lo scansafatiche, la pecora nera”) invece di accogliere la sua diversità, la sua unicità.
La rabbia è la molla che catalizza la sua energia: G. inizia ad uscire, a fare delle attività che considera importanti per lui, come andare in palestra, suonare la chitarra, vedere amici….
Nel frattempo gli attacchi di panico si fanno sentire solo attraverso l’ansia anticipatoria (G. ha più che altro paura di avere un attacco di panico) fino a scomparire del tutto.
Riprende gradualmente la sua vita, ma ad un livello di consapevolezza decisamente diverso: la sofferenza provata in passato ha per lui un senso profondo, vale a dire la possibilità di iniziare finalmente a vivere una vita libera ed appagante, quella che ora si permette di meritarsi.
 

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