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Disturbi alimentari e dell'immagine corporea.

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“I confini tra l’amore e l’appetito a volte sono talmente labili da confondersi completamente…” Isabel AllendeCome è oramai noto i cosiddetti disturbi alimentari sono l’anoressia, la bulimia e l’obesità (oltre a forme miste tra queste patologie). Queste problematiche sono in realtà molto diverse tra loro, anche se accomunate dalla centralità del rapporto con il cibo e dall’elevato grado di sofferenza fisica che è di tipo auto-indotta. In questi problemi il corpo è il protagonista è ciò li avvicina ai disturbi dell’immagine corporea, in particolare alla dismorfofobia, vale a dire quella eccessiva (direi ossessiva) preoccupazione riguardo ad un difetto fisico (che può effettivamente esserci o anche essere del tutto inventato dalla persona). Da un punto di vista terapeutico si possono fare infinite considerazioni, io ho scelto di parlare di disturbi alimentari e dell’immagine corporea insieme per mettere in risalto il problema della non accettazione del corpo.Certo occorre tenere in alta considerazione gli studi psicodinamici che hanno messo in risalto la centralità delle prime relazioni nella costruzione dell’accettazione del corpo e del rapporto con il cibo oltre che l’importanza e la criticità del ruolo del padre, ma sono convinta che oramai la società abbia preso il sopravvento su tutto ciò: tutti noi sappiamo quanto il modello di perfezione  proposto dai mass media sia irraggiungibile e siamo anche consapevoli della differenza tra modello e realtà, eppure siamo così incessantemente esposti e bombardati da questi messaggi che una parte di noi è inconsapevolmente convinta che per essere soddisfatti occorre essere accettati da tutti (!) e che per essere così universalmente accettati sia auspicabile avere un involucro, il nostro corpo, più che gradevole, vale a dire essenzialmente magro e senza difetti evidenti. Non a caso assistiamo ad una crescita esponenziale del ricorso alla chirurgia estetica, anche in età giovanissima e con il pieno appoggio dei genitori. A mio parere ciò non avrebbe alcuna valenza negativa, se non fosse che in alcuni casi assistiamo ad una corsa ossessiva alla perfezione. Spesso il ritocco o il sogno del ritocco è anche un modo per andare alla ricerca del proprio vero sé in persone che sentono di non essere pienamente identificate con il proprio corpo.E’ il “senso di inadeguatezza” (uno dei criteri diagnostici dei disturbi alimentari): queste persone hanno la continua sensazione che la loro unità mentecorpo così come è non vada, in loro qualcosa non quadra; ciò non li fa sentire bene dentro alla propria pelle ed inevitabilmente causa anche grossi problemi relazionali con gli altri. Chi soffre di disturbi alimentari è quindi costantemente alla ricerca del proprio vero sé ma anche in un certo senso anche del proprio vero corpo. E’ come se intuisse che dentro al suo corpo-involucro abita una farfalla pronta ad uscire… non sopporta più di essere bruco ma al tempo stesso non sa come fare per esprimere quella farfalla. Questo sentire va accolto e preso in considerazione perché ci suggerisce che queste persone  non hanno ancora ben acquisito quel senso di identificazione in sé (la propria identità) che è il risultato dell’adolescenza. In loro qualcosa è rimasto aperto, sospeso, tanto da non riuscire ad accettarsi pienamente (“questo sono io”)  oppure, nel caso di adolescenti, la persona esprime tutta la difficoltà del costruire la propria identità separata.La terapia deve necessariamente occuparsi del cammino verso la costruzione dell’identità; ciò significa essenzialmente consapevolezza di sé, degli aspetti più accettabili e di quelli meno, della propria storia, delle proprie rinunce, delle proprie scelte qualsiasi siano state…La terapia deve però anche tenere conto del fatto che sia nel caso dei disturbi alimentari sia delle dismorfofobie, la sofferenza ha oramai preso la via espressiva di un sintomo ben definito. Con le differenze del caso, nell’anoressia, bulimia e obesità l’unità mentecorpo (la persona) ha “imparato” a gestire la propria sofferenza attraverso il digiuno, il mangiare e poi vomitare oppure il mangiare compulsivamente. Nelle dimorfofobie l’unità mentecorpo ha invece “imparato” a gestire la sofferenza attraverso la fobia di una parte del corpo, vale a dire a “fare finta” che il problema sia quel singolo e definito difetto corporeo.Nessuna terapia potrà quindi prescindere da una vera e propria rieducazione perché la persona deve imparare a fare a meno del sintomo e giustamente lo farà quando riterrà di poter gestire la propria sofferenza altrimenti. Nel caso dei disturbi alimentari ritengo sia quindi anche fondamentale il lavoro d’equipe, non solo con l’eventuale psichiatra come è normale nel lavoro di psicoterapia, ma anche con un esperto di dietologia (oltre che con il medico di base o l’endocrinologo per il necessario controllo dello stato di salute del paziente).

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